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IL VINAIO DI KABUL
Un libro di Antonio De Feo

Walter Zollino Editore

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"Da queste terre, si dice, venne la vite, ma fu un italiano a riempire la prima botte di vino".

"L’autore si è già ricavato la sua nicchia di pioniere assieme ad altri personaggi celebri e oscuri che hanno affrescato la leggenda del grande gioco attorno al Khyber Pass raccontato da Kipling".
“Il Messaggero”, 14/05/95

"Le lunghe pale del ventilatore, appeso al soffitto, giravano lente e svogliate, ogni giro un distinto cigolio sembrava voler manifestare la sofferenza e l’inutilità di quel movimento, l’aria che esse muovevano continuava a far afa; l’umidità, alimentata dai monsoni, affaticava il respiro". [...]

L’amore per l’Oriente l’ha portato in Afghanistan. Lì, ha vissuto da protagonista i mutamenti sociali e politici e i continui Colpi di Stato, sino all’invasione sovietica. Scoperte, sfide, rapporti umani, famiglia e luoghi. In una terra di lunghi silenzi e relazioni indissolubili, prende forma un romanzo che racconta di una terra lontana nello spazio e nel tempo.

“Ecco Mister, per risolvere il suo problema dovrebbe andare di là di quelle montagne, […] di qua caldo umido, di là fresco secco”. Di qua la sicurezza, dall’altra parte la magia dell’ignoto. [...]

 

Al centro del racconto, Antonio, un giovane viaggiatore mosso dal desiderio di scoprire il Medioriente e l’Afghanistan in cui trova e alimenta un’occasione tanto insperata quanto ambiziosa: dare vita ad una produzione professionale di vino.


L’occasione che si presenta ad Antonio nell’Afghanistan degli anni ’60 trova il sostegno delle autorità di un Paese molto diverso da quello che abbiamo conosciuto dal decennio successivo e che le cronache internazionali ci hanno raccontato sino a poche settimane fa e che con tinte fosche ci raccontano oggi. È una Paese aperto agli investimenti stranieri, ma soprattutto è una terra dove “i lunghi silenzi” alimentano rapporti umani forti e indissolubili. Come quello che il protagonista costruisce con il suo fidato aiutante.

 
Tra i fili rossi della narrazione, insieme al desiderio di riscatto personale e al rispetto tra le culture, i molti viaggi, da quelli nei paesaggi selvaggi dell’Afghanistan a quelli per tornare in Italia, a Torino, dove Antonio ha una moglie e un figlio che lo seguiranno nella sua avventura e dove Antonio imparare l’arte di fare il vino e per inviare, via treno, dalla Russia, tutto il necessario per avviare la sua ambiziosa impresa. Ai viaggi con l’Italia, per tutto il racconto, si accompagnano quelli interni all’Afghanistan, che Antonio compie con il fidato Akim e che non mancano di stupire il protagonista per la bellezza dei luoghi e delle persone incontrate nelle molte avventure, talvolta vere e proprie peripezie, che trasformano la storia in un racconto d’azione.


All’avventura si accompagnano solide ed emozionanti relazioni umane, oltre a quella con Akim, anche le molte altre che il protagonista riesce a costruire con le persone che incontra, dagli uomini impiegati nella produzione di vino, a personaggi di primaria importanza nel panorama politico afghano, con i quali Antonio costruisce relazioni di lavoro e rapporti personali che non mancano di commuovere.


A completare il quadro, la capacità del protagonista di affrontare le sfide più disparate, dalla stessa vinificazione, che in Afghanistan “segue regole” diverse da quelle apprese in Italia, ai tentativi di truffa subiti, passando per le difficoltà burocratiche, ma anche dalla necessità di inventarsi costruttore, camionista e molto altro. Tutto accompagnato da un’altra costante: la fortuna, che segue Antonio non senza metterlo alla prova e che, insieme alla sua capacità di interpretare gli eventi, lo porta a lasciare l’Afghanistan dopo il colpo di Stato del 1973 e prima che la situazione politica del Paese crolli portandosi con sé anche buona parte della sua impresa, ma non riuscendo comunque a sottrargli la passione per la vita, l’avventura e gli esseri umani, che traspaiono da tutta la narrazione. Facendo del testo un appassionante romanzo storico contemporaneo che permette di conoscere e capire una terra lontana, che senza le brutture della contemporaneità appare ancor più bella, perché esotica non solo nello spazio, ma anche nel tempo. Un tempo che non c’è più, ma che il vinaio di Kabul fa sognare di rivivere.

 

RECENSIONI:

Farfalle e Trincee - Storie dall’Afghanistan, per caso e per amore articolo di Piotr

[...] Altra storia che ho trovato strabiliante è quella di Tonino de Feo, foggiano trapiantato in Piemonte e creatore di una distilleria a Kabul (in realtà non la prima). Del tutto a digiuno di esperienza nel settore, Tonino scopre l’uva afghana e decide che è troppo buona per non farne vivo, da qui una serie di vicende che sembrano uscite dalle pagine di un romanzo. Ma in fondo non vedere la vita come un romanzo fa diventare tutto molto più brutto. Le vicende di De Feo sono a tratti esilaranti, nonostante associare Afghanistan e risate a molti potrebbe sembrare qualcosa di sacrilego. [...]

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In battaglia, quando l’uva è matura. Quarant’anni di Afghanistan di Valerio Pellizzari

[...] Un vinaio italiano per dieci anni produce due milioni di bottiglie di vino all'anno. [...]
[...] La cantina di Kabul appartiene alle leggende dell’Afghanistan felix: autentiche e insieme fantastiche, ma alle quali oggi è difficile credere. In quell’edificio si mescolavano e si trasformavano le uve bianche di Pagman e quelle rosse provenienti da Turan, attorno a Kandahar. I vigneti, che da sempre si erano accontentati di fornire l’uva passita per il bazar, da quel momento avevano trovato nuova vitalità. La fabbrica del vino era nata nel 1967, era cresciuta felicemente per una decina d’anni, e aveva iniziato la decadenza prima della rivoluzione comunista e dell’Armata rossa.
La crociata in terra islamica per diffondere il vino, il vermouth, gli amari, lo spumante, la grappa, il cognac, il gin e gli altri distillati, ha avuto un solo protagonista, l’italiano Tonino De Feo. Nato a Foggia, emigrato in Piemonte, studente in seminario per qualche tempo, interessato al commercio del ferro e dell’acciaio, un giorno del 1965 approdò a Kabul, dopo essersi arrampicato con una ingombrante automobile Buick sui tornanti del Khyber Pass. E già questo era un segno di temerarietà, in quelle contrade di predoni. Scoprì che in quel paese cresceva un’uva dolcissima, ricca di ben cento diverse qualità. Era totalmente digiuno di enologia, ma era un pioniere fantasioso, determinato e allo stesso tempo incosciente. A Kabul giaceva in un cassetto un progetto dell’Onu, assieme a molti altri che sarebbero rimasti solo sulla carta, destinato allo «Sfruttamento delle uve locali per la produzione di vini e distillati vari».
De Feo decise in fretta. Tornò in Italia e andò a studiare ogni giorno con diligenza la trasformazione dei grappoli in vino. [...]

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microMacro - Il vinaio di Kabul di Michele Lula

Nessuno riuscirà mai a conquistarli con la forza". Lui lo ha fatto, ma solo perché ha saputo conquistare i cuori di un popolo che ha visto profondamente mutato il proprio "paradiso", rimasto tale solo fino agli anni Sessanta.

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