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SCHIAVI MAI!
La ribellione dei braccianti nel Piemonte del caporalato

Un libro di Antonio Olivieri e Boris Pesce
Edizioni REDSTAR PRESS 

copertina schiavi mai.jpg

 

​​«sfruttare deriva da frutto. e significa togliere, prendere i frutti. con quel prefisso – “s” – che dovrebbe farci capire che togliere i frutti porta all’esaurimento degli uomini e delle risorse […]. significa distruggere, “oikos”, la nostra casa e noi stessi».

Schiavi mai! non è semplicemente un saggio. Nelle sue pagine, infatti, scorre la storia 
della clamorosa rivolta bracciantile di Castelnuovo Scrivia del 2012: una rivolta provocata dalla fame di diritti a cui furono costretti i lavoratori immigrati, forzati a sopportare le durissime condizioni imposte loro da una rete di possidenti senza scrupoli. La ribellione dei braccianti, allora, rappresentò un atto di accusa senza precedenti nei confronti di un sistema schiavile che, dai campi alla tavola, passando per la logistica e le catene dei supermercati, fu costretto a mostrarsi per ciò che era e purtroppo, in molti casi, è ancora: un terribile ingranaggio fondato sullo sfruttamento; una realtà il cui funzionamento, anche nel cuore del Piemonte, viene subordinata alla pratica del caporalato. Contro un simile stato di cose, l’organizzazione dei lavoratori seppe strutturarsi attivando insospettabili reti di solidarietà ma fronteggiando anche una dura violenza padronale e, immancabilmente, una altrettanto dura repressione. Boris Pesce e Antonio Olivieri, in prima linea nel corso della lotta, ne ripercorrono le tappe in un libro di rara passione civile. Lo stesso sentimento di rabbia che spinse gli sfruttati alla sollevazione.

 

IL VIDEO RACCONTA CON IMMAGINI E TESTIMONIANZE

LA LOTTA DEI BRACCIANTI DI CASTELNUOVO SCRIVIA

GLI AUTORI

 

Antonio Olivieri

Internazionalista da sempre, è stato segretario provinciale della Filcams, della Filcea e della Fiom. Già fondatore, con altri amici e compagni, dell’Associazione Verso il Kurdistan, nel 2012 è stato tra i protagonisti della straordinaria lotta dei braccianti marocchini in Valle Scrivia. Da quell’esperienza è nato il Presidio Permanente di Castelnuovo Scrivia, tutt’ora dedito alla difesa del diritto all’abitare e al contrasto dello sfruttamento lavorativo nelle campagne.

Schiavi mai, scritto con il ricercatore Boris Pesce, è il suo primo libro. 
 
Boris Pesce

Si occupa di storia sociale, storia orale e storia del lavoro. Ha svolto ricerche 
presso l’Istoreto, l’Archivio storico Fiat, il Politecnico di Milano e l’Università di Torino. Attualmente collabora con l’Istituto Gramsci di Torino. Tra le sue pubblicazioni: Colletti bianchi a Torino.

Il ceto medio e l’industria privata 1900-1945 (2010), Gli impiegati della Fiat dal 1955 al 1999. Un percorso nella memoria (2015), Eredi di una speranza. Casa, scuola, la voro dei figli di immigrati a Torino dal 1945 al 1990 (2022).


INTERVISTA  RADIOFONICA
Fahrenheit / Radio 3
Estratto della puntata dell'11/7/2024

Vino amaro. Le Langhe e il caporalato. Con Antonio Olivieri sindacalista, e con Piero Neri Scaglione, giornalista e scrittore. 

Link della puntata: https://www.raiplaysound.it/audio/2024/07/Fahrenheit-del-11072024-4965c22f-c65f-40d2-b2f8-30c12cb83381.html

 

RECENSIONI:

“Schiavi mai” . La ribellione dei braccianti nel Piemonte del capolarato
di Pier Luigi Cavalchini - 7/7/2024

Articolo tratto da "Città Futura On-Line"
Bello il libro di Olivieri e Pesce, bello e da leggere tutto d’un fiato (sono un centinaio di pagine) . Si tratta di una piccola grande storia di prevaricazione, di sfruttamento, sostanzialmente di “comportamento mafioso” che si è svolto (e forse si svolge ancora) qui da noi, nella civilissima “padania”. Ce la descrive bene Olivieri quando, a pag. 19, non ha peli sulla lingua e con precisione descrive cosa sta succedendo: “Schiavi. Importiamo schiavi. Neppure chiamati per nome, ma con sprezzanti appellativi “il Grosso”, “Occhi di Gatto”, “Cassetta” e via di seguito, al posto di Hamid, Kassem ecc. (…) Nell’azienda agricola di “Bruno e Mauro Lazzaro” (…) a una quarantina di lavoratori immigrati – trenta uomini e dieci donne – mancavano solo le catene: orari di lavoro spaventosi, fino a 13/14 ore al giorno, sette giorni su sette, domeniche e festivi compresi; lavoro irregolare (su una quarantina di lavoratori ben 13 erano in nero); ricatti ed estorsioni (fino a 2500 euro versati direttamente al padrone per il rinnovo dei permessi di soggiorno); salari ridotti all’osso: pochi, pochissimi euro di soli acconti per circa 300, 350 ore di lavoro mensili; condizioni lavorative terribili, costretti a raccogliere ortaggi, sia d’inverno che d’estate, sotto il sole cocente, senz’acqua (al massimo c’era quella delle canaline di irrigazione) e con il cibo che si portavano da casa sulle loro biciclette, senza guanti, senza abiti, né scarpe da lavoro…(…) Con la stessa libertà degli schiavi. La catena in realtà c’era, ma non si vedeva. “

Questo succedeva (e in parte succede ancora in altre zone d’Italia, anche al nord), nei pressi di Castelnuovo Scrivia, ridente centro di quasi seimila abitanti sul margine est della provincia di Alessandria, vicinissimo alla Lombardia. Una situazione che abbiamo voluto raccontare citando testualmente lo scritto e che, il 22 giugno 2012, ha provocato una protesta che si è trasformata in una vera e propria vertenza sindacale con pressioni e richieste chiare da una parte a cui sono seguite, per parte padronale, serrate temporanee, tentativi di sostituzione di personale e, addirittura (seppure con esito negativo e penalizzante per la proprietà denunciante) una segnalazione alla magistratura di sette cittadini italiani e 28 braccianti (stranieri) con tanto di richiesta di intervento da parte della procura di Tortona e, quindi, dei Carabinieri. Non solo, gli stessi proprietari, anche se nel frattempo hanno scelto di tutelarsi con un marchio differente, dovranno  risarcire migliaia di euro ai lavoratori stessi, denaro che, per il momento, non è stato ancora consegnato. Vi è infatti ancora una vertenza aperta con la proprietà originale anche se, prima o poi, si arriverà ad una sistemazione del contenzioso, in ogni caso a vantaggio del personale bracciantile. Questa la vicenda raccontata in poche righe che si dipana in senso cronologico nel libro, con una comunicazione scorrevole e facile alla lettura. Quasi il contenuto prezioso di un bastimento che trova nell’introduzione di Boris Pesce e nella ampia bibliografia, la sua migliore collocazione. Davvero un involucro speciale con abbondanti riferimenti giuridici e di analisi sociologiche che dimostrano quanto sia importante il lavoro di Olivieri e Pesce, sicuramente degno di considerazione  in ambiente universitario o di Centro Studi specializzati. Ritornando al contenuto, Olivieri più volte stigmatizza il comportamento poco empatico della stessa popolazione castelnovese, così come segnala le ripetute pressioni (anche via lettera) , provenienti da ambiti sindacali vari , tesi a minimizzare la gravità dei fatti e a farli passare sotto silenzio o quasi. Anche le pagine che riguardano la dott.ssa Tafuri, prefetto di Alessandria in quel periodo, non sono tenere. Clima di diffidenza, difficoltà a capire le ragioni della giusta protesta, invito reiterato a  “non trascendere”, quasi come se tutto fosse poco più di una “ragazzata”. Ma, purtroppo, non è stato così e non sarà così in casi simili. Ciò che sta succedendo, specie in questi ultimi anni in ambito lavorativo, soprattutto in presenza di incarichi e sub-incarichi collegabili in qualche modo al fenomeno del “capolarato”, ce lo ricordano continuamente coloro che di queste cose fanno il loro lavoro quotidiano. Per esempio…bene fa il segretario nazionale della CGIL Landini a ricordare che “È una strage, lo diciamo da tempo. Quello che emerge è un modello di fare impresa che uccide, che è fondato sulla riduzione dei diritti e dei costi. Il lavoro è considerato una merce da comprare e vendere. A Latina è stato un atto di schiavismo disumano e sentire il commento dell’imprenditore, sentirgli dire che il bracciante è morto per una sua leggerezza, è come sentirgli dire che quello che è successo è un prezzo che si deve pagare a quel modello di fare impresa. Io credo che sia non più accettabile, bisogna cominciare ad agire, bisogna vietare di fare impresa in quel modo, vanno applicate le leggi che esistono nel nostro Paese. Qui parliamo di lavoro nero, caporalato, di persone clandestine: e allora bisogna cancellare la Bossi-Fini, muoversi in una misura completamente diversa. Non a caso noi stiamo facendo questa campagna referendaria: vogliamo cancellare leggi sbagliate perché questo modello di fare impresa in realtà è frutto della legislazione che negli ultimi venti anni si è affermata nel nostro Paese che ha reso possibile l’appalto, il subappalto, il lavoro precario, la logica fondata sulla riduzione dei diritti e non su qualità e innovazione. Il governo dia risposte e faccia leggi in questa direzione e anche il sistema delle imprese deve cominciare a prendere le distanze. Bisogna salvaguardare gli imprenditori seri, che rispettano i lavoratori e i diritti. In ballo c’è la libertà delle persone: una persona non è libera quando è precaria, quando rischia di morire al lavoro, quando non ha un salario dignitoso. E questa libertà bisogna affermarla con tutti gli strumenti a disposizione, dal referendum alle lotte, alla mobilitazione, ai contratti” … . Parole  pronunciate di recente che non lasciano spazio a strumentalizzazioni o sminuimenti di sorta. Il “capolarato” esiste, si è mantenuto forte, vivo e vegeto in questi anni ed è refrattario ad ogni tipo di regolamentazione o controllo. Strumenti che, invece, a più riprese ha raccomandato l’ASGI ma che con il Governo attuale e con il revanchismo che sta caratterizzando la nostra società, saranno difficilmente applicabili. (3). Beh…prendiamo i suggerimenti dell’ASGI come un augurio e, per il momento, limitiamoci a conoscere più direttamente realtà crude come quella descritta in “Schiavi mai”. Realtà con cui siamo a contatto tutti i giorni ma che ci viene comodo ignorare. Grazie ad autori ed editore per questo contributo.

 

I proventi delle vendite del libro (14.00 euro)

andranno al Fondo Cassa di resistenza

dei Braccianti della Bassa valle Scrivia

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